Chi sono

Mi chiamo Emanuele, ho 32 anni ed abito vicino Trento, a pochi passi dalle Dolomiti. La mia avversione per il sole ed il caldo mi ha portato negli anni a prediligere lo scalare vie di misto in alta montagna, possibilmente esposte sulle ombrose pareti nord. Il sole ed il caldo hanno realmente un effetto deleterio su di me, rendendomi fiacco, mentre al "fresco" riesco ad esprimermi al meglio delle mie capacità. Così negli anni ho finito nello specializzarmi in quella scalata che in inglese viene chiamata alpine climbing, o ancora più specificamente nel mio caso, visto che prediligo scalare con le picche durante le stagioni fredde e non d'estate con scarpette e magnesio, mixed alpine climbing. Tradotto letteralmente sarebbe arrampicata alpina su misto, ma noi scalatori in italiano non adoperiamo tale termine e tantomeno abbiamo un gergo paragonabile che usiamo abitualmente. Spesso la definiamo "arrampicata su misto", ma tale termine non è del tutto corretto in quanto racchiude un parco troppo ampio, che spazia dalle vie sportive ad alta difficoltà protette a spit alle vie su una classica parete nord come la Colton - Macintyre sulle Grandes Jorasses o perchè no una breve goulotte sul Monte Nero di Presanella.
Se invece si va a leggere la descrizione in inglese su Wikipedia sulla voce Alpine climbing, corrisponde esattamente alla mia attività. Ma sia ben chiaro, se cercate un esperto in cascate di ghiaccio o vie sportive di misto, ecco quello non sono io, in quanto non sono attività che pratico abitualmente.


Terminata questa noiosa ma inevitabile specificazione, per quanto riguarda la mia attività in montagna, per me lo stile è tutto. Considero un'arrampicata senza un buon stile, un'attività fisica completamente insignificante. Quando apro o ripeto una via, cerco sempre di lasciare la montagna pulita come era prima del mio passaggio, ovvero non lasciando materiale in parete, ne lungo i tiri e ne alle soste, sforzandomi di recuperare tutte le protezioni, poi purtroppo ogni tanto un dado incastrato o un chiodo troppo ben piantato è inevitabile che rimangano in parete, ma non è mai una cosa voluta. La mia idea è sempre la seguente: ciò che ci portiamo da casa, torna con noi a casa.

A me fa piacere se le vie che apro vengano ripetute, l'importante è che chi lo faccia abbia rispetto dello stile di apertura, non lasciando ulteriore materiale in parete, a meno che non sia strettamente necessario come nel caso di una ritirata o altri problemi. Questo vale adesso, come tra un millennio, il rispetto dello stile di apertura non va mai calpestato e dura in eterno. Quindi non solo non dovranno mai essere aggiunti spit alle vie che apro, ma neanche chiodi, cordoni o altro materiale "classico". Grazie.

Io sto volutamente parlando di stile e non di etica, in quanto ho scelto questo modo di andare in montagna perché semplicemente è l'unico modo in cui mi piace salire e scendere una vetta, non vi è alcuna retorica sull'etica. Andando a scomodare la parola "etica" si finisce in un campo troppo complesso e probabilmente poco raccomandabile agli alpinisti che come me usano mezzi inquinanti quali auto e aerei per raggiungere le proprie mete arrampicatorie, dunque non mi sembra il caso di scomodare tale parola.

La mia idea quando affronto una salita è estremamente semplice: tutto ciò di cui ho bisogno per affrontarla, devo essere in grado di portarlo sulle spalle, dentro lo zaino. Se dovessi aver bisogno di "aiutini" quali funivie, rifugi o altro, vuol dire che è un qualcosa di troppo grande per me e rinuncio. In nessun caso sono disposto a cedere sullo stile, piuttosto lascio la salita ad altri più bravi di me o alla generazioni future. Sul libro No Easy Way di Mick Fowler, ho trovato questa frase, che riassume alla perfezione la mia idea: <<Non solo gli spit danneggiano le montagna e spostano gli equilibri della riuscita, ma mandano un arrogante messaggio del tipo "se io non posso farcela senza barare, allora non ce la farai nemmeno tu" alle generazioni future>>.